Filcams Cgil del Trentino

Contro tutte le precarietà

Reddito sociale e contingenza: Parliamone

redditocittadinanzaLa generalizzazione della precarietà ha messo in discussione la vecchia concezione del lavoro come parametro principale della redistribuzione della ricchezza, prendendo a riferimento, anziché il tempo di lavoro formale, il tempo della produzione reale superando la separazione fra tempo di lavoro, “tempo libero” e tempo di vita sociale.
La teoria della riduzione dell’orario di lavoro come scelta per contrastare la precarietà del lavoro ha subito un pesante arretramento tanto che oggi non è più all’ordine del giorno né a livello politico né a livello sindacale. La discussione sulla redistribuzione della ricchezza deve, quindi, andare oltre la semplice redistribuzione del lavoro standardizzato per coinvolgere il territorio e la cosiddetta produzione diffusa, dal lavoro domestico a quello assistenziale al volontariato.
Se questo ha del fondamento la discussione deve allargarsi ad una redistribuzione del reddito non più legata alla prestazione lavorativa e al tempo di lavoro formale, passare dalla misurazione della produttività del lavoro alla produttività integrale nelle sue forme sociali. In ultima sostanza passare da una politica dei sussidi (disoccupazione, social security, ecc) al reddito sociale garantito.
Lotta al precariato diffuso, una nuova scala mobile e il reddito di cittadinanza sono scelte unificanti e capaci di intaccare l’attuale meccanismo della distribuzione della ricchezza e di stabilire un obiettivo unificante fra occupati, disoccupati e precari capace veramente di unificare il variegato mondo del lavoro e del non lavoro.
Se la principale causa dell’aumento dei prezzi è dovuta ad un modello di sviluppo che delocalizza gli impianti di trasformazione e scarica i costi di trasporto sui prezzi, se Confindustria chiede centrali nucleari anziché investire nella prima e grande fonte energetica, pulita ed economica, che è il “risparmio energetico”, il sindacato deve avere il coraggio di lanciare la proposta di collegare in modo diretto e automatico i salari con la dinamica dei prezzi; solo così potrà fermarsi la politica speculativa sui prezzi, costringendo tutti gli interessati (imprese e governo) ad adottare le necessarie misure di contenimento dei prezzi.
Una nuova scala mobile per difendere i salari e reddito di cittadinanza, universale e incondizionato, come integrazione del salario o come reddito in caso di disoccupazione.
Reddito di cittadinanza inteso come diritto, gratuito, ad accedere ai servizi come la sanità, la formazione, l’abitazione e l’accesso all’informazione.
Reddito di cittadinanza come collante per la ricostruzione di un legame comune fra cittadini e lavoratori, fra inclusi ed esclusi dal processo produttivo e per rimarginare la profonda lacerazione causata dalla precarietà e dalla erosione dei salari a causa della messa in mora del contratto nazionale.
Reddito di cittadinanza per costruire quelle base comune di solidarietà partendo dalla soddisfazione dei bisogni fondamentali, dai quali nessuno deve sentirsi escluso, garantiti dal sistema pubblico.
Infatti, oggi la precarietà, prima che una condizione sociale del lavoro, è il grimaldello usato dal capitale per determinare al ribasso delle condizioni di lavoro. Se non vogliamo che le condizioni lavorative e retributive siamo sempre più incerte va definita una soglia salariale minima e indicizzata, sotto la quale lo sfruttamento non è consentito e quindi, anche per questa via porre un freno alla politica di ribasso del costo del lavoro e all’esclusione sociale.
Sono convinto che questa strada è difficile, ma non impossibile, e la sua possibilità di riuscita è strettamente collegata alla nostra reale volontà di cambiare questo modello sociale energivoro e distruttivo per l’ecosistema mondiale.
Ezio Casagranda
Trento, 9 dicembre 2008

9 dicembre 2008 Posted by | Prezzi e Salari, Reddito cittadinanza | , , , , , , | Lascia un commento

Salari e prezzi: serve la Scala Mobile

Da alcuni giorni la stampa riposta in grande risalto il vertiginoso aumento dei prezzi e da più parti si levano analisi e proposte, dall’aumento del petrolio alle questioni della filiera distributiva e del ruolo della speculazione come principale responsabile di questi aumenti.
Se la principale causa dell’aumento dei prezzi è dovuta a questo sistema economico che delocalizza gli impianti di trasformazione e poi scarica i costi di trasporto sui prezzi, la ricerca spasmodica delle aperture domenicali e festive dei negozi. Non serve essere economisti per capire che, a parità di moneta spendibile, i costi delle aperture domenicali si scaricano sul prezzo finale.
Per questo non possiamo limitarci a rivendicare monitoraggi e autority se è vero come si legge sulla stampa che l’aumento più consistente (+10%) è riferito alle abitazioni, ed alle tariffe dell’acqua e dell’energia.
A fronte di questi dati bisogna intervenire a monte e chiedere alla Provincia, comuni ecc. di bloccare l’aumento delle tariffe dei beni indispensabile e quindi rivendicare una nuova assunzione di responsabilità da parte dell’Ente pubblico o delle amministrazioni nella politica dei prezzi. All’interno delle aziende partecipate dal pubblico, deve esserci una scelta politica precisa di lotta all’inflazione bloccando i prezzi e le tariffe che dipendono da questi società. Che sono pubbliche per i costi di esercizio (vedi contributi per ammodernamenti, ecc) e private per le politiche dei prezzi e del profitto.
Mi riferisco alla Trenta, alla Dolomiti energia, all’ITEA e all’autostrada del Brennero per fare alcuni esempi.
Prendiamo l’esempio degli aumenti dei pedaggi dell’A22 che stando ai più che floridi bilanci dell’A22 non era necessario nessun aumento dei pedaggi. Quindi siamo davanti ad aumenti ingiustificati ma utilizzati per “succhiare” risorse ai viaggiatori per finanziare il costoso, devastante ed inutile Tunnel del Brennero.
La privatizzazione dell’ITEA sta generando un aumento degli affitti per gli appartamenti privati che Itea e ha inaugurato una nuova politica in cui la casa non è più un bene sociale da tutelare.
Se Confindustria punta il dito sulla questione energetica e chiede centrali nucleari e energia a basso costo anche se questo significa devastare il nostro territorio. Non si prendere in considerazione il fatto che la prima grande fonte energetica, pulita ed economica, è il “risparmio energetico”. Ma cosa volete in questo periodo, dopo la crisi della sinistra, l’ideologia, travestita da finta modernità, imperversa senza freni.
Se Artigiani e commercianti la mattina si lamentano del calo dei consumi dovuti ai bassi salari e il pomeriggio si lanciano contro qualsiasi aumento contrattuale del salario e nulla dicono sul fatto che ieri la borsa ha bruciato 140 milioni di euro in un giorno.
Il sindacato deve avere il coraggio di lanciare la proposta di collegare in modo diretto i salari con la dinamica dei prezzi; solo così potrà fermarsi la politica speculativa sui prezzi, costringendo tutti gli interessati ( imprese e governo ) a misurarsi con i prezzi e quindi ad adottare le necessarie misure di contenimento degli stessi.
Il resto si riduce solo a buoni propositi che, puntualmente, vengono smentiti dai fatti, come risulta quanto sta succedendo sul versante dei prezzi e su quello dei mercati internazionali.
Per questo sono convinto che se vogliamo dare risposte concrete e credibili alle alle attese dei lavoratori e dei consumatori occorra un cambio radicale nelle politiche di redistribuzione e contrattuali, sperimentando la reintroduzione della contingenza, come strumento di protezione dei salari oltre che come strumento vero di controllo sulle dinamiche dei prezzi.
Ezio Casagranda – Filcams Cgil del Trentino
Trento, 16 luglio 2008

16 luglio 2008 Posted by | Prezzi e Salari | , , , , , | 1 commento

Salari e produttività

A proposito di riforma del sistema contrattuale e di produttività. Governo, CONFINDUSTRIA, e anche parte sindacato dicono che per incrementare i salari occorre rilanciare la produttività.
Ma è proprio così ? vediamone alcuni aspetti di questa situazione:
La produttività: le cause del calo della produttività del sistema industriale italiano vanno ricercate nel calo degli investimenti, nella sua struttura di microimpresa e nel fatto che si compete sui mercati a basso valore aggiunto anziché sui mercati di “eccellenza”. La dimensione delle aziende in Italia, se si comprendono anche quelle individuali, siamo ad una media che scende sotto i 4 dipendenti per impresa. Un limite dimensionale che nei fatti non può generare investimenti in ricerca ed in innovazione. Non è un caso se la ricerca in Italia è quasi tutta a carico dell’Ente Pubblico.
La formazione: siamo ai livelli più bassi d’Europa e lo conferma la recente inchiesta indipendente sui metalmeccanici, è emerso che solo il 20 per cento ha ricevuto formazione pagata dalla propria azienda. E per una media di 2 minuti al giorno.
Il Salario: i dati di questi ultimi gironi ci dicono che il salario medio in Italia è diminuito del 13% rispetto alla media e mentre l’inflazione corre oltre il 3,6% l’Istat ci manda a dire che nel nostro paese, in 10 anni, la quota del Prodotto interno lordo che va al lavoro dipendente è stata ridotta di 10 punti. Un trasferimento di oltre 120 miliardi di euro dai salari ai profitti. Dati che dimostrano il fallimento delle politiche concertative fatte in questi ultimi 15 anni. Insistere con nuove politiche concertative, come fanno Cgil Cisl e Uil, non solo è sbagliato ma significa non voler prendere atto che il più grande sindacato d’Europa in materia di salari subisse la più pesante sconfitta rispetto al resto d’Europa.
E questo mentre le aziende hanno fatto profitti enormi ma anziché investirli in gli hanno trasformati in dividendi o in acquisto di azioni. Quindi sono serviti ad accrescere il valore delle stock-options e i compensi dei nostri manager che ormai raggiungono dimensioni che vanno oltre 500 volte il salario medio. Questa politica ha il solo effetto di sottrarre risorse per gli investimenti e quindi si riduce la capacità competitiva delle imprese.
All’interno di un simile quadro, ormai riconosciuto da tutti, che senso ha parlare di defiscalizzazione degli straordinari (più salario a fronte di più lavoro) e dei premi aziendali variabili se non quello di aprire la strada al contratto individuale e a nuove forme di cottimo che si pensavano ormai superate.
L’emergenza salariale richiede l’apertura di una stagione di lotta per l’aumento dei salari reali che poggi su un CCNL solido e sul recupero automatico dell’’inflazione reale da parte dei salari e delle pensioni
Ezio Casagranda – Filcams Cgil del Trentino
Trento, 4 giugno 2008

4 giugno 2008 Posted by | Sindacato | , , , | 8 commenti